#californiaonyourown day three | Sacramento cosa vedere

Era opinione comune (di tutti tranne la sottoscritta) quella secondo la quale inserire Sacramento in un viaggio on the road in California fosse una perdita di tempo.
Perchè proprio Sacramento? Con tutte le belle cose da vedere, semi-cit.

L’itinerario che avevo in mente non poteva fare a meno di Lake Tahoe, definito da Marc Twain un paradiso in Terra.
E Sacramento si trova proprio lì, a metà tra Frisco e Lake Tahoe ed ecco deciso che avremmo fatto tappa là.

Lasciamo Frisco dopo una colazione abbondante, ah quanto mi mancano le colazioni californiane!
Della serie colesterolo-a-mille-milioni ma chissene: l’atmosfera dei cafè, i divanetti in vinile, quell’usanza di servire immediatamente un bicchierone di acqua con ghiaccio e limone alla consegna dei menù; quei ritmi lenti che alla mattina adoro e che in California si esplicano in queste colazioni dilatate nel tempo, se avete fretta è meglio comprare un muffin da Starbucks e mangiarlo per strada.
Ma sto divagando, un post dedicato al cibo californiano arriverà presto.

Centoquaranta chilometri comodamente percorsi lungo queste strade larghe da qua a laggiù: pochissima affluenza, il panorama della Gold County e l’origine del nome è facile da capire, distese di grano che si perdono all’orizzonte.
Lasciamo la larga strada asfaltata in prossimità di Vallejo per una pausa carburante: assolatissima cittadina, un minuscolo market dove compriamo da bere e il ragazzo dietro al bancone che sorride quando sente che tra di noi parliamo italiano.
Un giorno verrò nella bella Italia, così dice mentre conta il resto.

Sacramento ci accoglie in un abbraccio caldo e appiccicaticcio, siamo passati dai venti-e-qualcosa gradi di Frisco ai trenta-e-passa e ci vogliono un paio di minuti per abituarsi, ok diciamo anche qualche ora.
Una doccia in albergo e via: let’s go exploring.

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Scopriamo Sacramento di giovedì pomeriggio, un pomeriggio desolato a causa delle temperature cocenti, sono pochi i coraggiosi che si mettono in marcia per le strade del centro.
New Sacramento è un intreccio di strade che si intersecano a novanta gradi tagliate a metà solo da incroci e semafori.
Molti negozi vuoti, vetrine rotte, serrande chiuse si alternano a lavori di rivalutazione come la costruzione di un gigantesco Macy’s che interrompe il traffico e crea un modesto ingorgo.
La città del paradosso, ecco ciò che ho pensato quasi immediatamente: uomini ben vestiti escono dai grandi Hotel situati a ridosso della parte vecchia della città; senza tetto mendicano ai lati delle strade, sdraiati sui marciapiedi con addosso i segni delle difficoltà di tutti i giorni.
Turisti: non pervenuti.
E questo è ciò che ho apprezzato di più.
Penserete che sono matta; penserete che se non ci sono turisti un motivo dovrà pur esserci e ho poco motivo di vantarmi.
Eppure io amo questa cosa del cercare di passare inosservata: dico cercare perchè due ragazzi che parlano italiano non risulteranno comuni agli occhi di chi conosce la città come le proprie tasche.

Essere dove pochi altri andranno; osservare un pezzo di vita scorrere sotto gli occhi, appiccicarsi sulla pelle una sensazione e rendersi conto di una banalità vera e ovvia ovvero che questa vita che ci è data può scorrere in tanti modi e in tanti altri che nemmeno ci sogniamo e che viaggiare serve proprio a questo, aprire gli occhi sulle svariate vite possibili.

Una macedonia di frutta e lo sguardo rivolto allo State Capitol, elegante monumento sede della politica Californiana.
Il sole non da tregua e cerchiamo un angolino all’ombra dove trovare ristoro: i giardini intorno all’imponente edificio sono tranquilli e costituiscono il posto privilegiato per concedersi un attimo di relax che, nel nostro caso, dura il tempo di qualche foto e nulla più. Stiamo per scoprire la parte più viva di Sacramento e non vedo l’ora.

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Old Sacramento è la parte vecchia della città, rivalutata e rivitalizzata: situata sulle sponde del fiume omonimo è stata ricostruita su ispirazione dei primi insediamenti umani che, nel 1800, erano sorti in seguito alla corsa dell’oro.
Passeggiare per Old Sacramento è qualcosa difficile da raccontare: pontili di legno, marciapiedi alti formati da assi, locali ispirati al vecchio West e Saloon con le immancabili porte basculanti.
Un parco a tema a due passi dalla città, dentro alla città; musiche dal ritmo inarrestabile, vestiti ispirati all’epoca della corsa dell’oro, parate, stuzzicanti profumini di cibo.
I locali si susseguono ai negozi di souvenir che si susseguono ai negozi di tatuaggi che si susseguono ai banchetti di leccornie.
Fiumana di persone che passeggia per le tre strade parallele situate tra l’entrata e la parte a ridosso del fiume; qualche bambino mangia nuvole di zucchero filato, adolescenti sorseggiano Coca Cola in quantità per noi impensabili, le famiglie procedono placidamente con la prole al seguito.

Atmosfera da grande grigliata tra amici, baccano e risate ad alta voce, musica dal vivo e musica dagli stereo situati qua e là.
La sensazione di stare bene e di essere a proprio agio, proprio come in una famiglia: i componenti possono essere lontani per un bel po’ ma poi si abbracciano e tutto è come prima, meglio di prima.
Old Sacramento ha allungato le sue braccia materne verso di noi e ci ha accolto come se ci fossimo sempre conosciuti.

Così, con un corn dog in una mano e una lemonade nell’altra, abbiamo goduto del bellissimo tramonto sul fiume: lo scrivevo qua, e lo ribadisco anche adesso: con la luce del sole tutto è più bello e la luce del tramonto è il Re Mida della natura, trasforma tutto ciò che tocca in un meraviglioso panorama color oro.

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Ma la serata non finisce qui. Saliamo in macchina, direzione Sacramento County Fair.
Mi sono imbatutta nella pubblicità di questa manifestazione per puro caso e un ricordo ripescato da chissà quale angolino remoto ha riportato a galla una vecchia puntata dei Simpsons (non ridete, please!): l’intera famiglia persa tra banchetti, attrazioni da Luna Park e Lisa intenta a salvare degli animali chiusi in un recinto.

Sacramento County Fair è stato la cosa più simile a un cartone animato che io abbia mai visto in tutta la vita e ho imparato una cosa: i Simpsons non mentono mai! 🙂

Gigantesche riproduzioni di pop corn troneggiano dall’imboccatura della manifestazione e mentre paghiamo il dollaro che ci permette di avere accesso veniamo travolti da una musica latineggiante: nell’adiacente campo da baseball è in corso una gara di ballo e inevitabilmente la vista e la mente perdono la cognizione del tempo osservando quello spettacolo quantomeno stravagante. Cappelloni da cow boy, cinture e stivali a punta; i partecipanti si chiudono in cerchi e danno vita a movenze scandite da calci dati in aria e colpi di anca. Gli spalti sono gremiti di gente e il tifo indiavolato; riconosco nei colori dei cappelli che dev’essere una gara a squadre e mi colpisce l’eterogeneità, uomini e donne e bambini, nessuno escluso, tutte le età ammesse.
Mi spiace apprendere che l’entrata non è concessa ai gringos e così mi butto verso il cuore della fiera, la musica che ancora risuona nelle orecchie.

Quel che vedo non è tanto diverso dal Luna Park di Piazzale Kennedy (per chi è di Genova; per chi non lo è immaginate un qualsiasi Luna Park), solo in scala maggiore: le giostre si susseguono e le urla di chi si trova a testa in giù accompagnano le canzoncine che escono dagli stereo.
Prendiamo un hot dog e la ragazza mi dice “I love your accent!”.
Dovessi dire quale sia stata la frase ricorrente di questo viaggio in California, non avrei dubbi: I love your accent vince su tutti.
A quanto pare si sente che sono italiana e con un sorriso la ragazza mi dice che vorrebbe viaggiare in Europa e l’Italia è al primo posto della lista.
Le sorrido di rimando e rifletto.
Ti raccontano che viaggiare apre la mente, arricchisce, aumenta il bagaglio culturale; ti dicono che viaggiare è meglio che studiare e che quello che impari esplorando è unico e irripetibile. Ed è tutto vero.
Da quella sera a Sacramento porto con me due regali: il primo, dato dalla somma di ciò che ho visto, sentito, imparato; l’accumulo delle esperienze, bottino pregiato dal quale mai potrò separarmi.
Il secondo, altrettanto prezioso: il fascino della soggettività.
La sottile linea tra ciò che ami e qualcuno odia, tra ciò che non apprezzi e che per qualcun altro è tutto il mondo.
Uno va, gira, prende aerei, macina chilometri e poi non si rende conto delle bellezze che ha a un palmo di naso.

Apro la finestra e guardo il cielo: le stelle stanno spuntanto e il sole è calato da poco.
Puoi trovarti nell’angolino più recondito e dimenticato sulla faccia della Terra ma dormirai sempre sotto lo stesso cielo, sotto le stesse stelle, aspettando sempre di veder sorgere lo stesso sole.
E a me questa consapevolezza fa sentire a casa anche quando casa non c’è.

#Californiaonyourown day three: Sacramento.

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